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Iga e Kōga sono diventate, nel tempo, sinonimo di ninja. Ma nel resto del Giappone non esistevano “patrie” di assassini in nero: le attività clandestine erano improvvisate, disperse, tutt’altro che istituzionalizzate. Dietro i racconti leggendari emergono figure tragiche: mercenari riluttanti, prigionieri ricattati, spie costrette a rischiare la vita in cambio della sopravvivenza propria e delle loro famiglie. A muoverli non era un ideale, ma la necessità — e spesso la paura verso i loro stessi aguzzini: i samurai. In questo post ci addentriamo in un Giappone brulicante e oscuro: il mondo reale degli shinobi.
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Presunta lettera-testamento di Saitō Dōsan indirizzata a un suo figlio. Il documento risalirebbe al 1556
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I ninja hanno pagato a lungo il prezzo dell’immaginazione altrui. Scrittori, registi e fumettisti ce li hanno mostrati sotto ogni luce: figure che scompaiono nell’ombra, dotate di superpoteri, talvolta assuefatti a droghe misteriose. Atleti, spie, manipolatori… un mosaico di identità che sfida il reale. Ma chi erano davvero? In questo viaggio tra i castelli e i villaggi del Giappone medievale scopriremo come li hanno conosciuti i loro contemporanei: Tra documenti, diari e scavi archeologici emergono storie di criminalità, tensione e violenza, lontane dai miti.
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Giuramento di Mōri Motonari indirizzato ad Amano Okisada. La fonte risale al 1525.
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